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COME SI STUDIANO LE CELLULE? |
Come
è stato indicato all'inizio di questo capitolo, non è possibile differenziare
i linfociti T dai linfociti B attraverso la microscopia ordinaria, né nel sangue né negli organi linfatici; tuttavia
si
osservano alcune differenze con la microscopia elettronica a scansione. Esistono però diversi metodi che ci permettono
di differenziare e quantificare i linfociti, le loro diverse sottopopolazioni
inclusa la loro capacità
di rispondere ai diversi antigeni. I
metodi per lo studio dei linfociti, più utilizzati attualmente, si possono
raggruppare in: |
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Questi metodi sono stati tradizionalmente utilizzati per differenziare e quantificare popolazioni di linfociti B e T. Con la disponibilità di anticorpi monoclonali, dirette contro le diverse popolazioni di linfociti suini, i metodi tradizionali sono sempre meno utilizzati . Le caratteristiche specifiche di certi recettori di membrana presenti in ambedue le popolazioni di linfociti, costituiscono la base di questi marcatori convenzionali. I principali marcatori sono: | ||||||||||
Per i linfociti B: Nella membrana dei linfociti
B si trovano immunoglobuline di superficie che possono essere rilevate
con un siero o un anticorpo antimmunoglobuline suine marcati con una
molecola fluorescente, oppure attraverso un anticorpo monoclonale marcato
anche con isocianato di fluorescina,
contro ognuno dei sottotipi di immunoglobuline. Al microscopio
a fluorescenza si può osservare che nella membrana compare
una reazione fluorescente positiva. |
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Osservazione, con microscopia a fluorescenza, delle immunoglobuline di superficie di un linfocita B. |
Schema della tecnica per l'osservazione delle immunoglobuline di superficie di un linfocita B. Un siero policlonale o monoclonale (a) marcato con isocianato di fluorescina (b) reagisce con le immunoglobuline suine della membrana. |
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Struttura
a rosetta con gli eritrociti. I linfociti T di suino,
come quelli di altre specie, hanno la caratteristica di formare
strutture a rosetta quando si uniscono agli eritrociti di montone.
Si possono quantificare i linfociti attraverso la marcatura
con arancio d'acridina e la successiva osservazione
al microscopio sia a fluorescenza che a luce ordinaria. I linfociti
T e B si marcano con l'arancio d'acridina. I linfociti
T presentano strutture a rosetta mentre i linfociti B non
formano questo tipo di struttura. |
E' importante
segnalare che si può formare un'altro tipo di struttura a rosetta
nelle cellule suine. In questa foto si può osservare la formazione
di strutture a rosetta con eritrociti suini nei macrofagi infetti
con il virus della Peste suina Africana (b). Questo fenomeno conosciuto
come emoassorbimento non può essere confuso con la formazione
di strutture a rosette con eritrociti di montone dei linfociti
T suini (a). |
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Attraverso
gli anticorpi monoclonali si possono marcare le diverse popolazioni
linfocitarie suine. I metodi più utilizzati sono: |
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Il citofluorimetro
di flusso è un apparecchio che permette di caratterizzare ed anche
di separare le diverse popolazioni linfocitarie "in vitro"
attraverso l'uso di anticorpi monoclonali; marcati con fluorescina
diretti contro marcatori di superficie specifici di ogni sottopopolazione
che si desideri studiare. La
citofluorimetria di flusso ci permette oggi di valutare diversi fluorocromi
contemporaneamente, potendo quindi studiare diverse sottopopolazioni
cellulari nello stesso campione di linfociti. Per effettuare
lo studio, si può iniziare dal sangue intero
(i moderni citofluorometri permettono di lavorare
con sangue intero) o dalla popolazione
linfocitaria separata dal sangue. |
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Le cellule, alle quali si aggiungono gli anticorpi monoclonali (se ne possono valutare diverse contemporaneamente), diretti verso il marcatore oggetto dello studio, (CD2, CD4, CD8, etc.) passano attraverso il fascio di un laser che rileva la loro capacità di disperdere la luce (dimensione delle cellule) e la fluorescenza che emanano (tipo di cellula). Le misurazioni ottenute si indicano in percentuali
per ogni popolazione. |
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2.2. Immunoistochimica. |
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Studio di doppia marcatura (marrone-blu) per la localizzazione di infezioni con il VPPA (marrone) in cellule marcate con un antigene monoclonale anti-macrofago suino (blu). Si può osservare come non tutte le cellule che reagiscono con l'AcM anti-macrofago (blu) siano infette, anche se la maggior parte si. |
Utilizzando anticorpi monoclonali, marcati con fluoresceina o con perossidasi, contro i diversi tipi di linfociti suini, si può valutare la situazione di queste cellule in qualunque tessuto. Inoltre utilizzando due anticorpi monoclonali, ciascuno contro una popolazione linfocitaria diversa, ed ognuno marcato con un enzima differente (doppia marcatura perossidasi e fosfatasi alcalina) si possono studiare due popolazioni cellulari per volta in qualsivoglia tessuto. Queste tecniche hanno rivestito grande importanza per lo studio della patogenesi di varie malattie infettive dei suini. In questo modo, per esempio, si sono potute studiare le popolazioni linfocitarie del suino che sono o no implicate nell'infezione da Peste suina africana (VPPA) nei diversi organi, ed anche come il VPPA alterano l'espressione dei SLA (antigeni di istocompatibilità suina), nei macrofagi infetti. |
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Attualmente queste tecniche sono di grande utilità per conoscere le popolazioni colpite da infezioni virali e portare a termine studi patologici. |
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Questi metodi di studio si basano nel valutare la capacità che hanno sia i linfociti T che i linfociti B di riconoscere un determinato antigene. Le tecniche più utilizzate sono:
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STIMOLAZIONE
BLASTICA O BLASTOGENESI. |
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La stimolazione blastica o blastogenesi. L'utilizzo della trasformazione linfocitaria o blastogenesi è attualmente una delle tecniche più diffuse e precise per lo studio della capacità di stimolazione specifica e non specifica dei linfociti “in vitro”. Questa tecnica si basa sulla capacità di risposta dei linfociti ad un antigene (risposta specifica), che induce la produzione di linfociti memoria come conseguenza di vaccinazioni o per avere subito una infezione. Questi linfociti, stando nuovamente a contatto con l'antigene inducono una trasformazione blastica. |
Schema
della stimolazione blastica o blastogenesi. |
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Questa stimolazione blastica può anche essere indotta in modo non specifico grazie alla capacità dei linfociti di reagire con diversi tipi di lectine o mitogeni. Le lectine inducono una stimolazione blastica di tipo non specifico sia nei linfociti B che nei linfociti T.
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Fotografia di uno strumento per la raccolta di cellule coltivate in placca ("Harvester"). Le cellule rimangono nel filtro di carta. Questi filtri saranno successivamente analizzati utilizzando il scintilloscopio o contatore di particelle b |
Il
metodo della blastogenesi consiste, in definitiva, nel coltivare
i linfociti di un animale con gli antigeni che vogliono essere valutati
o studiati e con diversi mitogeni che si utilizzano come controllo
dell'immunoproliferazione (stimolazione non specifica). La trasformazione blastica specifica si misura in base
alla capacità propria dell'antigene di indurre immunoproliferazione.
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Attraverso
un raccoglitore speciale di cellule (“Harvester”) si filtrano cellule
e surnatante di ogni piastra e restano nel filtro soltanto le cellule. Questi filtri
sono successivamente inseriti in un scintilloscopio o contatore di
particelle b,
quanta più incorporazione di timidina-triziata maggiore
sarà la stimolazione blastica avvenuta. |
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L'ATTIVITÀ
CITOTOSSICA DEI LINFOCITI T (CD 8+) |
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L'attività citotossica dei linfociti T (CD 8+) contro una cellula bersaglio si può studiare, misurando la capacità di distruzione, che un determinato numero di linfociti T possiede verso un determinato numero di cellule bersaglio, mettendo le due popolazioni a contatto. Ci sono diversi metodi per valutare la percentuale di lisi o morte cellulare che esprimono le cellule bersaglio. Il più utilizzato per la sua precisione, sensibilità e capacità riproduttiva, è quello della liberazione di cromo 51 proveniente dalle cellule bersaglio. Le cellule bersaglio (che esprimono gli antigeni determinati sulla loro membrana) sono marcate con Cromo 51 e messe a contatto, in proporzione adeguata, con le cellule effetrici (linfociti T). |
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Dopo avere incubato entrambe le popolazioni cellulari per un periodo
determinato, vengono centrifugate e successivamente una parte del
surnatante viene misurato attraverso un contatore di particelle gamma
per conoscere la percentuale di cromo 51 liberato. Maggiore
è la quantità di cromo liberato, maggiore sarà l'attività
citotossica espressa. |