CAPITOLO 2

Corso di Introduzione alla Immunologia Suina

COME SI STUDIANO LE CELLULE? 

Come è stato indicato all'inizio di questo capitolo, non è possibile differenziare i linfociti T dai linfociti B attraverso la microscopia ordinaria, né nel sangue né negli organi linfatici;  tuttavia  si osservano alcune differenze con la microscopia elettronica a scansione.  Esistono però diversi metodi che ci permettono di differenziare e quantificare i linfociti, le loro diverse sottopopolazioni inclusa la loro capacità di rispondere ai diversi antigeni.  I metodi per lo studio dei linfociti, più utilizzati attualmente, si possono raggruppare in:

  1. MARCATORI E RECETTORI DI MEMBRANA.

Questi metodi sono stati tradizionalmente utilizzati per differenziare e quantificare popolazioni di linfociti B e T. Con la disponibilità di anticorpi monoclonali, dirette contro le diverse popolazioni di linfociti suini, i metodi tradizionali sono sempre meno utilizzati .  Le caratteristiche specifiche di certi recettori di membrana presenti in ambedue le popolazioni di linfociti, costituiscono la base di questi marcatori convenzionali.  I principali marcatori sono: 

Per i linfociti B:

Nella membrana dei linfociti B si trovano immunoglobuline di superficie che possono essere rilevate con un siero o un anticorpo antimmunoglobuline suine marcati con una molecola fluorescente, oppure attraverso un anticorpo monoclonale marcato anche con  isocianato di fluorescina, contro ognuno dei sottotipi di immunoglobuline. Al microscopio a fluorescenza si può osservare che nella membrana compare una reazione fluorescente positiva. 

Immunoglobuline di superficie di un linfocita B

Schema della tecnica

Osservazione, con microscopia a fluorescenza, delle immunoglobuline di superficie di un linfocita B.

Schema della tecnica per l'osservazione delle immunoglobuline di superficie di un linfocita B. Un siero policlonale o monoclonale (a) marcato con isocianato di fluorescina (b) reagisce con le immunoglobuline suine della  membrana.


Per i linfociti T.

Struttura a rosetta con gli eritrociti.  I linfociti T di suino, come quelli di altre specie, hanno la caratteristica di formare strutture a rosetta quando si uniscono agli eritrociti di montone. Si possono quantificare i  linfociti attraverso la  marcatura con arancio d'acridina e la successiva osservazione al microscopio sia a fluorescenza che a luce ordinaria. I linfociti T e B si marcano con l'arancio d'acridina.  I  linfociti T presentano strutture a rosetta mentre i linfociti B non formano questo tipo di struttura.

Emoassorbimento

E' importante segnalare che si può formare un'altro tipo di struttura a rosetta  nelle cellule suine. In questa foto si può osservare la formazione di strutture a rosetta con eritrociti suini nei macrofagi infetti con il virus della Peste suina Africana (b). Questo fenomeno conosciuto come  emoassorbimento non può essere confuso con la formazione di strutture a rosette con eritrociti di montone dei linfociti T suini  (a).

Principali recettori utilizzati tradizionalmente per differenziare i linfociti T dai linfociti B

Linfociti B:
  • Immunoglobuline di superficie

Linfociti T:
  • Strutture a rosette con eritrociti di montone
  • Esterasi positiva.



2. ANTIGENI DI MEMBRANA

Attraverso gli anticorpi monoclonali si possono marcare le diverse popolazioni linfocitarie suine.  I metodi più utilizzati sono:  

2.1. Analisi per citofluorimetria di flusso.
2.2. Immunoistochimica.  


2.1. Analisi per citofluorimetria di flusso.
 

Il citofluorimetro di flusso è un apparecchio che permette di caratterizzare ed anche di separare le diverse popolazioni linfocitarie "in vitro" attraverso l'uso di anticorpi monoclonali; marcati con fluorescina  diretti contro marcatori di superficie specifici di ogni sottopopolazione che si desideri studiare.  La citofluorimetria di flusso ci permette oggi di valutare diversi fluorocromi contemporaneamente, potendo quindi studiare diverse sottopopolazioni cellulari nello stesso campione di linfociti.  Per effettuare lo studio, si può iniziare dal sangue intero  (i moderni citofluorometri permettono di lavorare con sangue intero) o dalla popolazione linfocitaria separata dal sangue.  

Citofluorimetri di flusso.


Fotografia di uno dei citofluorimetri di flusso utilizzati per lo studio delle popolazioni di linfociti di suini.   Si può osservare l'unità base di lettura ed il sistema di elaborazione dati. 

Le cellule, alle quali si aggiungono gli anticorpi monoclonali (se ne possono valutare diverse contemporaneamente), diretti verso il marcatore oggetto dello studio, (CD2, CD4, CD8, etc.) passano attraverso il fascio di un laser che rileva la loro capacità di disperdere la luce (dimensione delle cellule) e la fluorescenza che emanano (tipo di cellula).

Le misurazioni ottenute si indicano in percentuali per ogni popolazione.   


2.2. Immunoistochimica.
 

Localizzazione di infezioni con il VPPA

Studio di doppia marcatura (marrone-blu) per la localizzazione di infezioni con il VPPA (marrone) in cellule marcate con un antigene monoclonale anti-macrofago suino (blu).  Si può osservare come non tutte le cellule che reagiscono con l'AcM anti-macrofago (blu) siano infette, anche se la maggior parte si. 

Utilizzando anticorpi monoclonali, marcati  con fluoresceina o con perossidasi,  contro i diversi tipi di linfociti suini, si può valutare la situazione di queste cellule in qualunque tessuto. Inoltre utilizzando due anticorpi monoclonali, ciascuno contro una popolazione linfocitaria diversa, ed ognuno marcato con un enzima differente (doppia marcatura perossidasi e fosfatasi alcalina) si possono studiare due popolazioni cellulari per volta in qualsivoglia tessuto.  Queste tecniche hanno rivestito grande importanza per lo studio della patogenesi di varie malattie infettive dei suini.  In questo modo, per esempio, si sono potute studiare le popolazioni linfocitarie del suino che sono o no implicate nell'infezione da Peste suina africana (VPPA) nei diversi organi, ed anche come il VPPA alterano l'espressione dei SLA (antigeni di istocompatibilità suina), nei macrofagi infetti.   

Attualmente queste tecniche sono di grande utilità per conoscere le popolazioni colpite da infezioni virali e portare a termine studi patologici. 

3. PROVE FUNZIONALI

Questi metodi di studio si basano nel valutare la capacità che hanno sia i linfociti T che i linfociti B di riconoscere un determinato antigene.  Le tecniche più utilizzate sono: 

  • Stimolazione blastica o  Blastogenesi

  • Attività citotossica dei linfociti T (CD 8+)

STIMOLAZIONE BLASTICA O BLASTOGENESI.

La stimolazione blastica o blastogenesi. L'utilizzo della trasformazione linfocitaria o blastogenesi è attualmente una delle tecniche più diffuse e precise per lo studio della capacità di stimolazione specifica e non specifica dei  linfociti “in vitro”. Questa tecnica si basa sulla capacità di risposta dei linfociti ad un antigene  (risposta specifica), che induce la produzione di linfociti memoria come conseguenza di vaccinazioni o per avere subito una infezione. Questi linfociti, stando nuovamente a contatto con l'antigene inducono una trasformazione blastica.  

blastogenesi.

Schema della stimolazione blastica o blastogenesi.

Questa stimolazione blastica può anche essere indotta in modo non specifico  grazie alla capacità dei linfociti di reagire con diversi tipi di  lectine o mitogeni. Le lectine inducono una stimolazione blastica di tipo non specifico sia nei linfociti B che nei linfociti T.



Harvester

Fotografia di uno strumento per la raccolta di cellule coltivate in placca  ("Harvester"). Le cellule rimangono nel filtro di carta. Questi filtri saranno successivamente analizzati utilizzando il  scintilloscopio o contatore di particelle  b

Il metodo della blastogenesi consiste, in definitiva, nel coltivare i linfociti di un animale con gli antigeni che vogliono essere valutati o studiati e con diversi mitogeni che si utilizzano come controllo dell'immunoproliferazione (stimolazione non specifica).  La trasformazione blastica specifica si misura in base alla capacità propria dell'antigene di indurre immunoproliferazione.   
Dopo un determinato tempo d'incubazione si aggiunge un isotopo radioattivo (timidina-triziata) al mezzo di incubazione dove si trovano i linfociti.  Se c'è stimolazione blastica (immunoproliferazione) la timidina sarà incorporata nei nuovi linfociti, che diverranno quindi cellule marcate in modo radioattivo.   

Attraverso un raccoglitore speciale di cellule (“Harvester”) si filtrano cellule e surnatante di ogni piastra e restano nel filtro soltanto le cellule.  Questi filtri sono successivamente inseriti in un scintilloscopio o contatore di particelle b, quanta più incorporazione di timidina-triziata maggiore sarà la stimolazione blastica avvenuta. 
 

L'ATTIVITÀ  CITOTOSSICA DEI LINFOCITI T (CD 8+)

L'attività citotossica dei linfociti T (CD 8+) contro una cellula bersaglio si può studiare, misurando la capacità di distruzione, che un determinato numero di linfociti T possiede verso un determinato numero di cellule bersaglio, mettendo le due popolazioni a contatto. Ci sono diversi metodi per valutare la percentuale di lisi o morte cellulare che esprimono le cellule bersaglio.  Il più utilizzato per la sua precisione, sensibilità e capacità riproduttiva, è quello della  liberazione di cromo 51 proveniente dalle cellule bersaglio. Le cellule bersaglio (che esprimono gli antigeni determinati sulla loro membrana) sono marcate con Cromo 51 e messe a contatto, in proporzione adeguata, con le cellule effetrici (linfociti T). 

Reazione citotossica


Schema per stutdi di citotissicità nelle sue diverse forme d'induzione:  linfociti CD 8+, cellule NK e immunoglobuline che attivano un complemento. La sua valutazione viene realizzata per liberazione del cromo 51 in un contatore di particelle radioattive g dopo la distruzione della cellula bersaglio. 

Dopo avere incubato entrambe le popolazioni cellulari per un periodo determinato, vengono centrifugate e successivamente una parte del surnatante viene misurato attraverso un contatore di particelle gamma per conoscere la percentuale di cromo 51 liberato. Maggiore è la quantità di cromo liberato, maggiore sarà l'attività citotossica espressa. 

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